Educazione emozionale

Educazione emozionale

Moltissime persone contattano il naturopata per problemi di natura fisica, che sono però la manifestazione di un disagio emotivo. L’agitazione diventa tachicardia, le arrabbiature quotidiane si traducono in reflusso e cattiva digestione, le preoccupazioni disturbano o impediscono il sonno e così via. Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, ha sperimentato uno stato simile e spesso ci si rivolge al naturopata proprio perchè si sente, nel profondo, che l’origine del disagio non è solo nel corpo. In questo senso, l’approccio olistico può essere vincente, con un percorso di educazione emozionale, che agisca sulle cause, ovviamente dopo aver sentito il parere medico.

Educazione emozionale: il ruolo del naturopata

Il compito principale del naturopata è quello di educare alla salute e incentivare tutti quei comportamenti che “ci fanno stare bene”. Detto in termini più sofisticati, promuove la salutogenesi. Ovviamente, affinchè l’approccio sia veramente olistico, questo ruolo di educatore deve comprendere anche l’igiene emotiva. In questo modo, si previene che i normali squilibri che ciascuno di noi vive si aggravino, diventando patologia vera e propria.

Tuttavia, com’è dunque possibile trattare le emozioni senza sconfinare nel campo della psicoterapia?

Per spiegare ciò, è importante distinguere i ruoli. Lo psicoterapeuta si occupa di patologia e indaga le radici passate e inconsce della problematica. Questo lavoro di ristrutturazione della persona, richiede tempo e volontà di scavare in profondità e si basa principalmente sul colloquio.

Anche il naturopata utilizza il colloquio come strumento primario, ma la sua attenzione è rivolta esclusivamente al qui ed ora e al problema specifico che viene presentato. Facciamo un esempio: una persona contatta il naturopata per un problema di reflusso, che si aggrava in modo particolare in seguito al pranzo in ufficio. Per prima cosa, l’operatore valuterà, l’alimentazione dell’assistito, prestando attenzione non solo a cosa consuma, ma anche a come e con chi mangia. In secondo luogo, indagherà il suo modo di relazionarsi con i colleghi e i capi.

Un operatore adeguatamente preparato sarà in grado di identificare le emozioni (rabbia, senso di inadeguatezza, stanchezza ecc…) che stanno alla base della manifestazione fisica, limitando, tuttavia, la sua indagine l’ambiente lavorativo.

Naturopata e psicoterapeuta: strumenti diversi per un obiettivo comune

La differenza sostanziale rispetto al lavoro dello psicoterapeuta, è che una volta identificato il problema, non si vanno ad esplorare altri campi (es. familiare), se non marginalmente. In più, l’operatore olistico, può suggerire all’utente degli strumenti pratici per gestire la situazione. Esercizi di respirazione, visualizzazioni mentali, rimedi naturali… costituiscono un’enorme risorsa, alla quale il naturopata può attingere. Sarà poi sua responsabilità , in base a ciò che la persona racconta, indirizzarla, se necessario, a uno psicoterapeuta, con il quale proseguire ed approfondire il lavoro.

Infatti, è importante sapere che un approccio non esclude l’altro, anzi. Per esperienza personale posso garantire che i più grandi risultati si ottengono quando si procede insieme. Il percorso integrato permette di affrontare il problema da più punti di vista e arrivare più in fretta a una soluzione.

Educazione emozionale: un beneficio per tutti

Se vogliamo davvero educare alla salute a 360 gradi, anche i naturopati devono parlare di emozioni, così come fanno i genitori, gli insegnanti, gli allenatori, i sacerdoti… Ciò non vuol dire sconfinare nel campo di competenza di altri professionisti. Promuovere una vera educazione emozionale, significa riprendere il contatto con la nostra anima, con le sue parole e con il modo in cui queste si manifestano nel nostro corpo. Infatti, spesso non ha altro modo per farsi ascoltare. Gli esercizi consigliati servono proprio a questo: fermati, osservati, ascoltati. Solo così, si diventa davvero coscienti di sè stessi, di come si reagisce e di come invece si può imparare a rispondere.

In questo modo possiamo cogliere già i primissimi segnali di disagio, comprenderne il significato e correggere il nostro atteggiamento. Quando la problematica è troppo profonda per essere gestita autonomia, ci si può sempre rivolgere a uno psicoterapeuta. Il lavoro di riconnessione con noi stessi però, ci avrà reso maggiormente in grado comunicare il nostro disagio, in tutte le sue sfumature.

Perchè, alla fin fine, siamo noi i maggiori esperti del nostro problema.

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